I guanti, storia di un simbolo diventato necessità




 Inverno è inverno, freddo è freddo. 
No, non è la sagra dei luoghi comuni, è la mia introduzione alla storia del guanto, un accessorio nato per rivendicare uno status, oggi usato per la necessità di salvare le nostre dita dall'amputazione.




 Un giorno la dea Venere, correndo in un bosco del monte Olimpo, cadde posando le mani su di un cespuglio di rovi, e se le graffiò malamente.
Le Grazie allora cucirono delle sottilissime bende attorno alle sue dita e ai suoi palmi, affinché v’aderissero alla perfezione.
Così, secondo la leggenda, nacquero i guanti, ma in realtà è più probabile che essi vedessero la luce più che nella calda Grecia, in qualche luogo del freddo Nord.
 I guanti nascono per usi pratici, imposti dal clima ai popoli settentrionali per ripararsi le mani dal freddo o dalle necessità di alcune arti e mestieri. Nell’area mediterranea dell’età antica l’uso dei guanti è raramente testimoniato (la sua diffusione è dovuta alle invasioni barbariche); nell’Odissea, Laerte mentre lavora in giardino porta i guanti, ma il termine usato (keidis: manica) non è ben chiaro. Varrone parla di digitalia (De rustica, 1,55), ma probabilmente si tratta di una specie di strumento per la raccolta delle olive, un raffietto a tre dita ancora oggi usato.

L’importanza simbolica, liturgica e rituale dei guanti è invece ben radicata nell’area medio-orientale. L’omaggio delle popolazioni asiatiche ai Faraoni consisteva a volte in guanti preziosi: nella tomba di Tut-ankh-amon sono stati trovati guanti di lino bianchi da bambino.

Abitualmente usati per il lavoro, per la caccia, per la guerra (la cavalleria pesante alto-medioevale, formata da popoli nordici li utilizzava, per presa e protezione, nell’uso di armamento pesante come lancia, spada celtica, ascia o azza), i guanti acquistarono col tempo un valore simbolico. Nel diritto barbarico il venditore di terreni donava all’acquirente, alla presenza di testimoni, un guanto pieno di terra presa dal campo venduto.

Dal IV sec. dC il guanto perse la sua funzione di oggetto meramente parafreddo, per assumere il simbolo d’eleganza e potenza.
I nobili medioevali li portavano in velluto e tempestati di gemme, mentre i cavalieri li avevano in maglia d’acciaio, destinati a proteggere le mani sollevanti pesantissime spade durante le tenzoni.
Successivamente i guanti venivano offerti dai detentori del potere, re ed imperatori, ai propri vassalli, a simbolo d’investitura feudale. Nella liturgia d’investitura reale a Reims vi era l’offerta e la benedizione dei guanti, il principio liturgico era quello che le mani del Re dopo l’unzione, non dovessero entrare in contatto con cose impure. Dopo la cerimonia, l’Ospitaliere bruciava i guanti, per evitare che potessero esser usati per scopi profani.

Quando il guanto veniva lanciato o inviato, il gesto assumeva nel simbolismo, significato di sfida o di condanna come nel caso del giudice medioevale che decretava il suo verdetto lanciando il guanto al condannato.


In quel periodo il guanto fu indumento prettamente maschile, addirittura proibito alle donne mediante un apposito decreto, poiché esclusivo segno di mascula autorità.
Imperatori e re, durante le cerimonie d’investitura dei feudatari, donavano appunto un paio di guanti.


Soltanto verso l’anno 1000 i guanti cominciarono ad essere usati anche dalle donne, prima per la caccia (falconeria), per viaggiare, per il gioco della palla o per il tiro dell’arco, poi anche per moda o lusso, nei materiali più preziosi. Nelle corti d’amore provenzali venne nel tempo a stabilirsi una precisa etichetta, per cui se un cavaliere offriva dei guanti bianchi profumati ad una dama e questa li accettava, gradiva nel contempo anche i servizi del cavaliere. Il linguaggio simbolico dei guanti trova testimonianza anche nel 1500, ricordiamo ad esempio un episodio accaduto nel 1563 quando   il Conte di Hertford, in disgrazia presso la Regina Elisabetta, pregò Robert Dudley, amante e maggior favorito della Regina, di donarle a suo nome un paio di guanti, per pegno di riconciliazione.

I guanti furono un accessorio importantissimo nel guardaroba del gentiluomo, tanto che il conte d’Orsay, arbiter d’eleganza francese e contemporaneo di lord Brummell, consigliava di usare sei paia di guanti al giorno: uno per andare in carrozza, uno per la caccia, uno per il passeggio, uno per la cena, uno per il teatro e uno per le serate mondane.


Nel sec. XIII furoreggiarono i guanti veneziani, confezionati in stoffe rarissime e letteralmente incrostati di pietre provenienti da quei mercati d’Oriente con cui la Serenissima aveva continui rapporti commerciali.
I Dogi ne ordinavano tempestati di zaffiri, rubini e smeraldi, ricamati in modo tale che ricordassero i disegni dei merletti di Burano; lo stesso facevano Papi e regnanti.


Nel XVIII e nel XIX secolo, porgere la mano nuda ad una persona o mostrarsi a mani nude, specialmente di fronte ad una donna, era segno di scarsa educazione, pertanto il gentiluomo aveva a disposizione guanti per tutte le occasioni.

Fu durante la rivoluzione sessantottina che l’espressione simbolica e di eleganza dei guanti cadde nell’oblio. Indossare guanti, sia per le donne che per gli uomini, perse il suo fascino in quanto considerati simbolo di ricchezza e quindi borghesi.

Oggi i guanti non sono più determinanti nel guardaroba maschile e si indossano solo all’aria aperta; unica eccezione, in luoghi chiusi, sono i guanti bianchi per il frac, generalmente in cotone, che non andrebbero comunque infilati, ma semplicemente tenuti in mano.

L’uomo elegante indosserà esclusivamente guanti in pelle. Con la scarpa nera è preferibile indossare guanti dello stesso colore o più scuri possibile, mentre con la scarpa marrone e con un abbigliamento sportivo è preferibile indossare guanti marroni in pecari (mammifero sudamericano, simile ad un piccolo cinghiale). Un altro classico dell’abbigliamento informale, sono i guanti in pelle d’agnello imbottiti di lana.


fonti: http://www.tempusvitae.it
        http://www.placidasignora.com

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